Con gli ultimi provvedimenti del governo non c’è stata la proroga dello smartworking, quindi dal 1° settembre si torna alla normalità. Ma non per tutti gli aspetti. Ecco cosa c’è da sapere
Lo smart working a causa dell’emergenza sanitaria è diventato quasi un’abitudine per milioni di italiani. Secondo stime dell’Inapp infatti prima del Covid-19 i lavoratori coinvolti dal telelavoro erano soltanto 570mila, durante il periodo più nero dei lockdown generalizzati sono diventati circa 6 milioni, per poi scendere col termine delle misure più restrittive.
Il lavoro in modalità agile è diventata fondamentale per ridurre il rischio di contagio e conciliare il lavoro con le nuove esigenze familiari, facendo tra l'altro nascere nuovi bisogni, come il diritto alla disconnessione, e nuovi modi di comunicazione.
Proprio per questa sua importanza lo smartworking è entrato più volte negli atti del governo e del ministero del Lavoro e delle politiche sociali. E con l’ultimo Decreto Aiuti bis era attesa una proroga dello smart working, almeno per i lavoratori fragili e i genitori con figli minori di 14 anni. Ma questa proroga non c’è stata.
Dal 1° settembre, quindi, si torna alla vecchia modalità di gestione, che per i dipendenti del settore privato prevede accordi individuali tra lavoratore e azienda, anche se viene comunque “salvata” la modalità di comunicazione semplificata al ministero. Le aziende, dunque, non dovranno inviare valanghe di accordi, ma soltanto comunicare i nomi dei lavoratori coinvolti.
Vediamo tutto quello che c’è da sapere dunque sulle nuove modalità di gestione dello smartworking.
Il Decreto Aiuti bis non ha concesso alcuna proroga delle procedure previste durante la pandemia per tutelare i lavoratori maggiormente esposti al contagio. Il ministro del Lavoro Andrea Orlando aveva annunciato il mantenimento di alcune misure, specie per lavoratori fragili e genitori con figli minori di 14 anni, ma poi nel testo approdato in Parlamento non ci sono stati interventi di questo tipo.
La gestione attuale dello smart working, dunque, scade il 31 agosto, come spiega il Ministero del Lavoro. Dal 1° settembre si torna dunque sostanzialmente alle condizioni previste prima della pandemia, anche se in un quadro mutato sia di abitudini che di accordi raggiunti nel frattempo tra governo e parti sociali.
Termina così la possibilità per i datori di lavoro di avviare il lavoro agile anche in via unilaterale, ma anche gli strumenti di sostegno introdotti per tutelare i lavoratori più esposti, come i lavoratori fragili, che in caso di sospensione della prestazione di lavoro “normale” avevano comunque la possibilità di farsi riconoscere il periodo a casa come ricovero ospedaliero, col conseguente sostegno al reddito.
Dal 1° settembre per richiedere lo smart working torna la necessità di stringere un accordo individuale tra lavoratore e azienda, che definisca tempi e modalità del lavoro agile.
Nel frattempo però governo, associazioni di categoria e sindacati hanno firmato il 7 dicembre 2021 il Protocollo nazionale sul lavoro agile nel settore privato che prevede alcuni punti fissi per questa modalità di lavoro, in aggiunta a quanto previsto dalla Legge n. 81/2017 che regolava lo smart working prima dell’emergenza pandemica, e ovviamente a quanto stabiliscono i contratti nazionali di settore.
In particolare, il Protocollo fissa le necessità su:
Quello che non cambia invece dal 1° settembre è la procedura semplificata di comunicazione dell’avvio dello smart working a carico delle imprese, che potranno continuare a utilizzare il portale apposito del Ministero del Lavoro senza allegare l’accordo individuale, ma comunicando ugualmente:
Se questi dati non vengono comunicati, l’azienda rischia una sanzione che va da 100 a 500 euro per ogni lavoratore interessato.
Lo prevede la bozza del decreto Sostegni bis, in via di approvazione. I datori di lavoro privati, secondo il testo, potranno così accedere alla procedura semplificata di avvio dello smart working fino al 30 settembre 2021.