Buoni pasto: come funzionano e a cosa servono

ott 18, 2023

Sono spesso inseriti dalle imprese tra i benefit concessi ai dipendenti. Vediamo come funzionano e come possono essere spesi i buoni pasto



I buoni pasto sono un sistema molto utilizzato dalle aziende per riconoscere un
bonus ai propri dipendenti, quando per esempio non c’è la possibilità di avere una mensa aziendale interna alla sede di lavoro. Si tratta di un ticket, in formato cartaceo o elettronico, che ha un valore predefinito e può essere speso dal lavoratore negli esercizi convenzionati.

Le imprese non sono sempre obbligate a riconoscere il ticket restaurant, perché dev’essere previsto dai  contratti nazionali di categoria o dagli accordi aziendali. Rientra quindi nella categoria del welfare aziendale e viene introdotto sempre più spesso all’interno dei contratti proposti ai lavoratori. È dunque una delle voci che devono essere considerate dal lavoratore nel momento in cui sta valutando una proposta di lavoro, perché contribuiscono ad aumentare la “paga di fatto” offerta dall’azienda.

D’altra parte i buoni pasto godono di condizioni fiscali vantaggiose e  consentono all’azienda anche agevolazioni nel versamento dei contributi.

Vediamo dunque come funzionano nel 2023 i buoni pasto.



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Come funzionano i buoni pasto per i dipendenti?

I buoni pasto, o ticket restaurant, sono dei buoni cartacei o elettronici con un valore fisso che un’azienda riconosce ai suoi dipendenti per acquistare un pasto o per spenderli presso esercizi convenzionati, come i supermercati. Si tratta di una misura di welfare che spesso viene utilizzata dalle imprese che non hanno un servizio mensa nella propria sede, che consente inoltre al datore di lavoro di ottenere vantaggi fiscali.

Il ticket può essere riconosciuto sia sotto forma di buoni pasto cartacei, cioè consegnati al lavoratore in blocchetti, generalmente mese per mese. Oppure come buoni elettronici, cioè caricati su una carta magnetica o con microchip. In entrambi i casi viene riconosciuto un buono pasto per ogni giornata lavorativa effettuata nel corso di un mese, mentre il valore facciale di un buono in media può andare dai 5 ai 10 euro.

L’azienda può decidere come erogare il servizio per la pausa pranzo al proprio dipendente, ed è quindi libera di scegliere cosa offrire, a meno che non ci siano accordi specifici e differenti in tal senso. Le possibilità dunque sono:


  • servizio mensa gestito in proprio all’interno della propria sede;
  • servizio mensa appaltato all’esterno ma in ambienti di proprietà;
  • mensa esterna in una struttura diversa da quella aziendale;
  • servizio sostitutivo di mensa tramite buono pasto consegnato al dipendente.

L’ azienda può anche scegliere una modalità mista, cioè riconoscere un servizio mensa vero e proprio a una parte dei dipendenti e consegnare invece i buoni pasto ad altri, che dunque hanno diritto a ricevere i ticket.

I buoni pasto rappresentano dunque una forma di welfare riconosciuto ai dipendenti, e possono essere erogati (secondo il decreto 122 del giugno 2017) a:


  • lavoratori subordinati a tempo pieno;
  • lavoratori subordinati part-time;
  • lavoratori subordinati turnisti;
  • lavoratori con contratto di collaborazione.


Una cosa importante è che il buono pasto viene riconosciuto ai lavoratori anche se il loro orario di lavoro non prevede una pausa pranzo.


Come vengono erogati i buoni pasto?

I buoni pasto possono essere erogati sia in formato cartaceo che in formato elettronico. Sono intestati al lavoratore dipendente e danno diritto a una spesa corrispettiva al loro valore per acquistare un pasto negli esercizi commerciali convenzionati.

Come spiega nel dettaglio il Decreto 122 del 2017, già citato, le norme definiscono il buono pasto come un documento che riconosce al lavoratore che utilizza i buoni pasto il diritto di godere del corrispettivo di un servizio mensa negli esercizi convenzionati. E di conseguenza all’esercente di avere un metodo per dimostrare l’avvenuta transazione nei confronti della società di emissione, che dovrà poi riconoscere all’esercente il corrispettivo. L’esercente infatti deve rilasciare uno scontrino regolare o una ricevuta fiscale al lavoratore che utilizza il buono pasto ed emettere poi la fattura alla società emittente con cui ha stretto un accordo di convenzione.

Il datore di lavoro che vuole riconoscere come benefit aziendale il buono pasto ai propri dipendenti infatti acquista i ticket da una società emittente, che fornisce materialmente all’azienda i ticket o le carte. Questi come detto possono essere sotto forma di buoni pasto cartacei o buoni pasto elettronici e differiscono quindi dal supporto con cui vengono consegnati al lavoratore.

Nel primo caso si tratta di un blocchetto di buoni in carta, appunto, che vengono consegnati materialmente al dipendente e da questi all’esercente. Nel secondo caso invece i ticket vengono caricati su una carta con microchip, come le carte di credito, che poi dovrà essere letta da un lettore apposito nei negozi e nei ristoranti per essere riconosciuto.

Diverso è però il trattamento fiscale dei due supporti. Nel caso del buono pasto cartaceo infatti la soglia massima entro cui non sono soggetti a tassazione è di 4 euro al giorno, a partire dalla legge di bilancio del 2020, che ha abbassato la precedente soglia di 5,29 euro.

Nel caso dei buoni pasto elettronici invece la stessa soglia è di 8 euro al giorno, al posto dei 7 euro concessi precedentemente. La logica che sta dietro a questa riforma è la volontà di favorire l’emissione dei buoni pasto elettronici al posto di quelli cartacei.

Il datore di lavoro può anche erogare il corrispettivo dei buoni pasto direttamente in busta paga. In questo caso però trattandosi di una voce in più sul cedolino l’importo viene tassato esattamente come il resto dello stipendio. Il lavoratore dunque ha il vantaggio di avere soldi “veri” spendibili come meglio crede per qualsiasi acquisto ed esercizio, ma vede diminuire il valore di questi “falsi buoni” a seconda dell’aliquota applicata.

D’altra parte però, il valore erogato dal datore di lavoro sotto forma di buoni pasto è esente anche dall’obbligo del versamento dei contributi. Quindi il loro valore non contribuisce ad arricchire la futura pensione del dipendente.


In ogni modo i buoni pasto:


  • non sono cedibili ad altre persone;
  • sono cumulabili nel limite massimo di 8 buoni pasto per volta;
  • non possono essere scambiati con denaro;
  • hanno una scadenza entro cui devono essere utilizzati;
  • devono essere spesi nella loro totalità e non in una loro frazione: non si può cioè spendere per esempio metà buono e ricevere in moneta la parte non spesa.





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Quanto costa al datore di lavoro il buono pasto?

Secondo la legge le spese che il datore di lavoro sostiene per erogare i buoni pasto ai propri dipendenti sono deducibili ai fini Irpef, Irap e Ires, a patto che questi costi vengano dedotti nel periodo in cui il dipendente ha goduto del ticket restaurant. L’Iva invece è anch’essa detraibile, ma con un’aliquota fissata al 4%.




Come funzionano i buoni pasto in busta paga?

I buoni pasto in busta paga, erogati come indennità sostitutiva di mensa, sono una delle modalità con cui l’azienda può decidere di riconoscere questo benefit ai propri lavoratori dipendenti. Entrando direttamente in busta paga però questi contribuiscono a formare il reddito da lavoro e vengono quindi assoggettati alla tassazione prevista per quel dipendente, secondo le aliquote e le modalità previste dalla legge.

Anche i buoni pasto cartacei o elettronici però compaiono in busta paga. Sono infatti una delle voci che compaiono tra le competenze, cioè nella parte degli “attivi” che vengono corrisposti al lavoratore aumentando lo stipendio netto che si ritrova sul conto corrente. In questo caso sul cedolino viene indicato il numero di buoni pasto maturati nel mese di competenza, il loro valore singolo e quindi anche il loro valore complessivo per il mese.



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