Il
rientro al lavoro dopo la maternità è un momento complicato per una donna che ha appena avuto un figlio. Le nuove esigenze familiari possono infatti rendere più impegnativo tornare alle proprie mansioni in azienda, sia da un punto di vista
psicologico, per il distacco momentaneo dal bambino, che
organizzativo, per continuare a prendersi cura di lui.
Proprio per questa delicatezza, al termine del congedo di maternità la legge prevede alcune tutele per la lavoratrice, che può così affrontare il rientro al lavoro con qualche strumento in più e non in totale solitudine.
D’altra parte bisogna anche tener conto delle esigenze delle imprese e dei datori di lavoro, che potrebbero sollecitare il rientro pieno della lavoratrice nel pieno delle sue mansioni. Ecco dunque, dal divieto di licenziamento alle variazioni dell’orario di lavoro, fino alla possibilità di chiedere la maternità facoltativa, tutti i diritti di una mamma-lavoratrice.
La data del rientro al lavoro dopo la maternità dipende da come si è deciso di usare la maternità obbligatoria. Secondo le norme del Testo Unico di maternità e paternità, infatti, all’azienda è vietato far lavorare una donna durante parte della gravidanza e nel primo periodo di vita del bambino.
Si tratta di una tutela molto importante per la donna, che però può essere usufruito in maniera diversa a seconda delle esigenze e dello stato di salute della futura mamma:
I
cinque mesi di maternità obbligatoria possono essere quindi goduti in modo abbastanza elastico sia prima che dopo il parto. La lavoratrice in questo periodo ha diritto alla conservazione del posto di lavoro e a un’indennità pari all’80% del proprio stipendio che viene pagata, a seconda della categoria cui appartiene la lavoratrice, direttamente dall’Inps o dal datore di lavoro.
Al termine della maternità obbligatoria si può chiedere anche la maternità facoltativa (più correttamente indicata come congedo parentale, visto che spetta anche al padre), che prevede la possibilità per diverse categorie di lavoratori di sospendere il rapporto di lavoro fino al compimento dei 12 anni di età del bambino per un periodo complessivo che tra i due genitori è di 10 o 11 mesi, anche in caso di adozione o affidamento.
In questo caso, però, l’indennità che spetta alla lavoratrice (o al padre) è del 30% dello stipendio o, a seconda dei casi, anche nulla. Si tratta dunque di una richiesta che deve essere fatta considerando anche questo aspetto economico.
Ma la maternità obbligatoria non è l’unico diritto che spetta alla mamma che deve rientrare al proprio lavoro. La legge prevede infatti anche:
Un’altra possibilità per ritardare o rendere comunque più soft il rientro al lavoro dopo la maternità è quella di usare le
ferie
maturate. Se cioè si hanno a disposizione molti giorni di ferie arretrati si può chiedere al datore di lavoro di “agganciarle” alla maternità, con tutte le tutele previste dalle norme sulle ferie.
In questo caso però si tratta di una richiesta legittima che però non obbliga l’azienda, che ha la facoltà o meno di accettare la richiesta. Come avviene di norma per le ferie, la risposta, positiva o negativa, dipende dalle necessità organizzative dell’azienda stessa, che potrebbe essere nelle condizioni di non poter accettare la richiesta della lavoratrice-madre.
Un’altra possibilità è quella di chiedere di lavorare part-time, riducendo l’orario di lavoro (e quindi anche lo stipendio). Si tratta anche in questo caso di una richiesta legittima cui l’azienda può però rispondere in modo positivo o negativo, perché il lavoro part-time ha costi importanti per l’impresa, che deve comunque assumere altro personale e rivedere l’organizzazione per sostituire la lavoratrice nelle ore di assenza.