Contratto a tutele crescenti, cosa prevede

dic 06, 2022

Col Jobs Act è stato introdotto il contratto a tutele crescenti, una nuova modalità di tempo indeterminato. Vediamo come funzione a chi si applica



Dal 7 marzo 2015 è entrato in vigore il cosiddetto "Jobs Act", la riforma del lavoro voluta dall'allora governo Renzi che introduce il concetto di contratto a tutele crescenti. Contrariamente a quanto suggerisce il nome, in realtà, la riforma non introduce una nuova forma contrattuale ma un diverso quadro normativo che regola i licenziamenti dei lavoratori assunti con un contratto a tempo indeterminato, cioè senza scadenza.

L'intenzione del governo era modificare le norme che fino a quel momento avevano protetto questi lavoratori, perché giudicati troppo tutelanti a danno dei datori di lavoro e con troppa discrezionalità lasciate al giudice in termini di reintegra sul posto di lavoro e di risarcimenti economici.

Questa nuova disciplina del contratto a tempo indeterminato si applica così a tutti i lavoratori assunti a partire dal 7 marzo 2015, senza distinguere imprese grandi e piccole e limitando la reintegra sul posto di lavoro soltanto a pochi casi ben definiti, anche in caso di licenziamento illegittimo. Mentre sono chiariti invece gli indennizzi economici, a seconda principalmente dell' anzianità di servizio del lavoratore.

Vediamo dunque come funzione il contratto a tutele crescenti, a chi si applica e cosa prevede nel caso di licenziamenti.


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Quando si applica il contratto a tutele crescenti?

La nuova disciplina del contratto a tutele crescenti si applica:


  • ai lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato a partire dal 7 marzo 2015;
  • ai lavoratori con contratto a tempo determinato che viene trasformato a tempo indeterminato dopo il 7 marzo 2015;
  • ai lavoratori con contratto di apprendistato che viene trasformato a tempo indeterminato dopo il 7 marzo 2015;
  • a tutti i lavoratori di un'azienda che per una nuova assunzione dopo il 7 marzo 2015 superano i 15 dipendenti.


Questo significa che a tutti i lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato prima dell' entrata in vigore del decreto continuerà a essere applicato il regime sanzionatorio previsto dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Anche se il passaggio al nuovo sistema può sempre avvenire nel caso in cui il lavoratore passi a una nuova azienda.


La nuova disciplina non si applica ai dirigenti.



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Cosa prevede il contratto a tutele crescenti?

La nuova formula del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti limita la possibilità di reintegra nel rapporto di lavoro a pochi casi di licenziamento illegittimo. Per tutti gli altri casi introduce un sistema di indennizzi economici che aumenta per ogni anno di servizio del lavoratore.


Le uniche forme di licenziamento per cui rimane il diritto alla reintegra nel posto di lavoro sono:


  1. il licenziamento discriminatorio, che avviene per motivi religiosi, sessuali, politici, età o per partecipazione ad attività sindacale;
  2. il licenziamento inefficace perché comunicato soltanto in forma orale;
  3. il licenziamento nullo per norma di legge, cioè quelli effettuati in periodi tutelati come la maternità o il primo anno di vita del figlio;
  4. il licenziamento per cui il giudice collega il motivo a una disabilità fisica o psichica del lavoratore;
  5. il licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa per cui in tribunale si accerta l'insussistenza del fatto che viene contestato al lavoratore.


In questi casi il datore di lavoro viene condannato alla reintegra nel posto di lavoro del dipendente licenziato e condannato al pagamento di un'indennità per il danno subìto e dei contributi dovuti. Questa indennizzo viene calcolato sull'ultimo stipendio tenendo presente il periodo che intercorre tra il licenziamento e la reintegra effettiva. Ma comunque non può essere inferiore a cinque mensilità di stipendio, detraendo però le somme eventualmente percepite con altri lavori fatti nel frattempo.

Il lavoratore può comunque rinunciare a essere reintegrato nel posto di lavoro, comunicandolo entro 30 giorni dalla comunicazione della pronuncia del tribunale o dall'invito del datore di lavoro a rientrare in azienda. In questo caso ha diritto a un'indennizzo economico pari a 15 mensilità dell' ultima retribuzione valida per il calcolo del Tfr.

Negli altri casi di licenziamento, anche ingiustificato, viene invece stabilito un sistema di indennizzi economici che cresce con l'anzianità di servizio e oscilla tra le 6 e le 36 mensilità di stipendio tenendo conto principalmente dell'anzianità di servizio. Grazie a una sentenza della Corte costituzionale del 2018, che ha dichiarato parzialmente illegittimo questo calcolo, si deve però tenere conto anche della dimensione aziendale, del numero dei dipendenti e del comportamento delle due parti.

In altre parole quello che cambia col contratto a tutele crescenti sono le conseguenze di un licenziamento giudicato illegittimo da un giudice, mentre non cambiano i motivi per cui un lavoratore può essere licenziato.

Se il licenziamento viene dunque considerato legittimo dal giudice, al lavoratore ovviamente non spetta nessun indennizzo economico e si considera effettiva l'interruzione del rapporto di lavoro.

Il nuovo contratto a tutele crescenti si applica anche ai lavoratori delle cosiddette organizzazioni di tendenza, cioè quelle che svolgono attività politica, sindacale, culturale e di religione.

In ogni modo le tutele garantire dallo Statuto dei lavoratori e dall'articolo 18 non sono immutabili per tutti i lavoratori che oggi continuano a goderne. Anche i lavoratori assunti a tempo indeterminato prima del 7 marzo 2015 potrebbero infatti rientrare nel contratto a tutele crescenti nel caso in cui questi cambino lavoro passando da un'azienda a un'altra. In questo caso diventano infatti a tutti gli effetti nuovi assunti da un nuovo datore di lavoro.


Il Jobs Act ha introdotto anche un nuovo sistema di conciliazione nel caso di licenziamento, pensata per rendere più rapida la soluzione del contenzioso col pagamento di un indennizzo economico immediato da parte del datore di lavoro.

Secondo queste nuove norme, il datore di lavoro che ha licenziato il dipendente ma vuole evitare il processo, può convocare il lavoratore in una delle sedi conciliative previste dalle norme, tra cui le commissioni specifiche costituite alle Direzioni provinciali del lavoro, entro i 60 giorni che sono previsti per l'impugnazione del licenziamento stesso.

In questa sede il datore di lavoro può offrire al dipendente un indennizzo pari a una mensilità per ogni anno di servizio, ma comunque non inferiore a tre mensilità e non superiore a 27. Questa somma, proprio per incentivare questa forma di soluzione del conflitto senza arrivare in tribunale, è stata resa non imponibile per il lavoratore e nemmeno soggetta al pagamento dei contributi previdenziali.

Ovviamente però l'accettazione dell'indennizzo comporta l'estinzione immediata del rapporto di lavoro e anche la rinuncia dell'impugnazione, anche se il lavoratore l'ha già presentata.


Nel caso di un cambio di appalto il lavoratore licenziato dall'impresa che non è più titolare del contratto di appalto, viene riassunto in modo automatico dall'impresa che subentra nell'appalto stesso. L'assunzione avviene con il contratto a tempo indeterminato (se così era inquadrato prima il lavoratore) a tutele crescenti.

In caso di licenziamento, per calcolare l'indennizzo economico che spetta al lavoratore si considera come negli altri casi l'anzianità di servizio, ma tenendo conto di tutto il periodo nel quale il lavoratore è stato impiegato nell’attività appaltata.

L'anzianità dunque non si calcola sulla base della durata dell'ultimo appalto prima del licenziamento, ma a partire da quando quel lavoratore ha svolto quel ruolo in quell'impiego. Tenendo quindi conto anche degli appalti precedenti in cui ha lavorato con le stesse mansioni nello stesso "cantiere".


Tutto questo insieme di norme può essere derogato in meglio negli accordi aziendali integrativi, cioè in quegli accordi che si aggiungono al Contratto collettivo nazionale di lavoro applicato in quel settore specifico.

Questo significa che nel caso in cui un'impresa e i sindacati raggiungano un accordo che prevede tutele maggiori rispetto al Jobs Act, questo ha ovviamente validità per i lavoratori dipendenti di quell'impresa.

Nel corso degli anni il Jobs Act è stato modificato per inserire maggiori tutele per i lavoratori. Così è avvenuto col cosiddetto "Decreto Dignità", che ha inserito indennizzi maggiori a favore dei lavoratori, per tutelare quelli con anzianità di servizio minore.

Così come la sentenza della Corte costituzionale del 2018, che ha giudicato illegittimo il solo calcolo dell'indennizzo sulla base dell'anzianità di servizio, ha introdotto anche nuovi parametri per il suo calcolo, restituendo parte della discrezionalità prima tolta al giudice del lavoro.


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