Buoni pasto in smart working: si ha diritto?

ott 19, 2022

Con la diffusione del lavoro agile a causa della pandemia si è presentato il problema se l’azienda debba riconoscere o meno i buoni pasto in smart working. Vediamo come ci si deve comportare



Il lavoratore in smart working ha diritto ai buoni pasto? Il datore di lavoro deve dunque riconoscerli anche ai dipendenti che lavorano da remoto? Col termine della fase più acuta della
pandemia, che ha spinto le aziende a collocare milioni di lavoratori italiani in smartworking, il cosiddetto lavoro agile o lavoro da remoto, si è presentato il problema di regolare questa modalità di lavoro in tutti i suoi aspetti.

Uno dei temi controversi, che ha suscitato contrasti tra sindacati e imprese e anche tra sindacati e pubblica amministrazione, è la concessione del buono pasto nel caso in cui lo svolgimento delle prestazioni lavorative avvenga in modalità agile.

Secondo le ultime interpretazioni, le imprese non sarebbero tenute all'erogazione dei buoni pasto anche a chi lavora da remoto, a meno che questo non sia previsto dai contratti collettivi nazionali di lavoro, o da accordi aziendali specifici, che per essere modificati hanno bisogno di un accordo sindacale.

Vediamo dunque come districarsi in questa materia.


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Chi è in smart working ha diritto ai buoni pasto?

La risposta è: non è detto. L’azienda ha infatti il diritto di non riconoscere ai lavoratori in modalità agile il buono pasto, perché questo non è parte integrante della retribuzione ma è un benefit concesso dall’azienda per godere della pausa pranzo anche quando non è presente la mensa.

Il principio di fondo è che l’orario di lavoro viene definito dall’azienda e quindi il lavoratore non ha la possibilità di organizzarsi per fruire della pausa pranzo in libertà. Per questo, quando non è previsto il servizio di mensa aziendale, l’impresa può decidere di erogare un buono pasto, che consente al dipendente di pranzare in locali convenzionati e comporta di fatto un servizio sostitutivo di mensa.

Si tratta di una modalità che quindi costituisce:


  1. un aiuto al lavoratore, perché questo non dovrà spendere per la pausa pranzo;
  2. un sostegno all’economia locale, perché ci si aspetta che i locali convenzionati dove il dipendente andrà in pausa pranzo siano nelle vicinanze dell’azienda.


Cosa diversa è quando il buono pasto è previsto come
elemento della retribuzione da parte dei contratti collettivi di settore, oppure da accordi firmati coi sindacati all’interno dell’azienda. In questo caso potrebbe essere necessario passare attraverso un nuovo accordo sindacale.

È però importante fare un passo indietro. I principi base su cui si regola lo smart working sono stati fissati dal decreto legislativo 81 del 2017, quindi prima della pandemia, che stabiliva che il dipendente che svolge l’attività lavorativa in modalità agile ha diritto allo stesso trattamento economico e normativo di colui che lavora in azienda.

Chi sceglie il lavoro da casa quindi in linea di principio non può perdere parte dello stipendio o dei benefit previsti per i suoi colleghi che lavorano in presenza.

A questo principio base sono però seguite varie sentenze e pronunce di tribunali che invece concedono all’azienda di interrompere l’erogazione dei buoni pasto qualora il lavoratore non consumi il pasto con le solite modalità.

Varie sentenze della Corte di Cassazione, e anche una pronuncia del 2020 del tribunale di Venezia, stabiliscono infatti che se l’erogazione dei buoni pasto è parte della prassi aziendale, l'impresa ha il diritto di interromperla, anche se questa è stabilita da un regolamento aziendale.

E la ragione è che il buono pasto non fa parte integrante della retribuzione del lavoratore, ma si tratta in genere di una concessione aziendale nel caso in cui non sia presente il servizio mensa.

Poiché infatti il lavoro agile si caratterizza principalmente per:


  • non obbligo a svolgere l’attività nei locali aziendali;
  • mancanza di un orario di lavoro definito;


anche la concessione del buono pasto può essere interrotta dall’azienda.

L’imprenditore è però naturalmente libero di riconoscerlo ugualmente, perché il buono pasto è diventato un benefit molto richiesto dai lavoratori, che lo possono usare spesso anche per fare la spesa e altri acquisti, trasformandolo di fatto in un elemento aggiuntivo della retribuzione.

A queste pronunce si è poi aggiunta la risposta dell’Agenzia delle entrate a un interpello di un ente bilaterale, che ha chiarito che il buono pasto entro certi limiti non concorre alla retribuzione, e dunque proprio per questo non concorre alla formazione del reddito dipendente e rientra nella tassazione agevolata prevista per questo tipo di voci.


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Quando non spetta il buono pasto?

Anche se il dipendente lavora in smart working, rimangono valide le norme che stabiliscono quando invece il buono pasto non deve essere riconosciuto al lavoratore. E cioè quando non c’è la giornata lavorativa:


  • ferie;
  • malattia;
  • sciopero;
  • aspettativa;
  • in permesso che dura tutta la giornata.



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