Nonostante leggi e norme che cerchino di ridurla, la disparità di genere nel lavoro è ancora ampia, in Italia più che altrove, con differenze di stipendio del 12% tra uomini e donne. Ecco cosa comporta e come superarla
“La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratori”. Questo è l'articolo 37 della Costituzione italiana. La parità di genere è dunque scritta nel testo fondamentale del nostro ordinamento, inserita dai Costituenti fin dall’inizio della storia repubblicana tra le regole base dello Stato.
Nonostante questo, e in Italia più di altrove, la condizione lavorativa delle donne vede ancora importanti differenze con quella degli uomini, il cosiddetto gender gap, con tassi di occupazione femminile più bassi e maggiori difficoltà negli avanzamenti di carriera, oltre che un gap salariale, cioè una differenza di stipendio tra uomini e donne, che in media nel nostro Paese raggiunge il 12%.
Una condizione di difficoltà nel mondo del lavoro che si può ricondurre alla maggior diffusione del part-time involontario tra le donne occupate, alla discontinuità delle carriere professionali e al minor accesso delle donne alle posizioni apicali nelle aziende.
Ma questi sono solo alcuni dei motivi che spiegano le differenze all’interno del mercato del lavoro, perché ce ne sono altri, “non spiegabili”, come dice l’International Labour Organization (ILO), che potrebbero nascondere vere e proprie situazioni di discriminazione di genere.
Per disparità di genere s’intende una condizione per cui in alcuni ambienti uno dei due generi è sotto rappresentato rispetto all’altro. Nel mondo del lavoro, il gender gap indica quindi le differenze di retribuzione, carriera e accesso al primo lavoro che vedono le donne fortemente svantaggiate rispetto agli uomini.
In Italia, secondo l’Istat, le donne tra i 15 e i 64 anni che a dicembre 2020 risultavano occupate sono il 48,6%, contro il 67,5% degli uomini, con una differenza di quasi 20 punti percentuali. Una condizione aggravata dalla pandemia, visto che il calo rispetto all’anno precedente è stato di 1,4 punti percentuali per le donne e di 0,4 punti per gli uomini.
Secondo le statistiche Eurostat, l’Italia è uno dei paesi europei più penalizzanti per le donne. Il tasso di donne occupate (20-64 anni, in questo caso: 53,8%) è infatti il secondo più basso del continente prima della Grecia, e a una distanza abissale dalla Svezia, che col 79,7% è al primo posto nell’Unione Europea.
Dati impressionanti, soprattutto se si considera che secondo una ricerca di Almalaurea, sono proprio le donne a ottenere i risultati migliori negli studi. Sia perché arrivano prima alla laurea (26,2 anni per le avvocate contro i 26,6 degli avvocati o 26,9 delle biologhe contro i 28 dei biologi), ma anche perché ottengono voti più alti: 108 a 106,7 per le architette sugli architetti, 108,1 a 105,3 delle dentiste e 107,3 a 105,8 delle ingegnere edili e ambientali rispetto ai loro colleghi.
Nonostante questo, secondo l’ultima edizione dell’Osservatorio Job Pricing, nell’anno della pandemia per uno stipendio annuo lordo a tempo pieno, la differenza tra le buste paga delle donne e degli uomini è arrivato all'11,5% (con un aumento di 0,4 punti). Come se le donne lavoratrici italiane fossero pagate dal 7 febbraio, pur lavorando regolarmente dal 1° gennaio.
La differenza di trattamento tra donne e uomini comporta una minore produttività, un potenziale di capacità inespresse e può essere fonte di insicurezza psicologica e ovviamente anche di condizioni economiche più precarie, dal punto di vista delle donne.
Lo rileva uno studio di LinkedIn, pubblicato l’8 marzo 2020, che testimonia come le donne, a causa della disparità di trattamento tra i generi, si sentano meno meritevoli rispetto agli uomini.
In particolare:
Per ridurre la disparità di genere nel lavoro, secondo l’Oxfam, bisogna: