La spinta a impegnarsi per raggiungere gli obiettivi è uno dei motori fondamentali del comportamento umano. Ecco le teorie principali degli esperti per motivare in modo efficace noi stessi e costruire un ambiente di lavoro stimolante per i propri dipendenti
La motivazione personale è una delle forze che guida i nostri comportamenti. Nella vita di tutti i giorni ci sentiamo più o meno realizzati, più o meno pronti a impegnarci a seconda dei bisogni che abbiamo e degli obiettivi che vogliamo o riusciamo a raggiungere.
Le stesse dinamiche valgono per la crescita professionale sul posto di lavoro, dove bisogna evitare in tutti i modi la demotivazione, favorendo invece la costruzione di una comunità che favorisca l’impegno di tutti.
Come sempre è utile partire chiedendoci cosa intendiamo per motivazione. Può essere definita come la forza che ci spinge a impegnarci per raggiungere un obiettivo. In psicologia vengono poi distinte una motivazione estrinseca, che dipende dall’ambiente esterno, e una intrinseca, che invece matura da obiettivi più strettamente personali.
Rientrano nel primo campo premi, riconoscimenti o avanzamenti di carriera, mentre nel secondo fattori che vengono percepiti come gratificanti di per sé, come un’attività stimolante e soddisfacente.
Molto celebre la definizione data dallo psicologo americano Drew Westen, che nel 2002 ha scritto che:
“La motivazione è la forza motrice che porta un individuo a comportarsi in un determinato modo al fine di raggiungere uno scopo”.
Nel corso del Novecento sono state elaborate varie teorie sulla motivazione al lavoro, che hanno cercato di comprendere quali sono i fattori motivazionali che agiscono nell’ambiente lavorativo e dato anche qualche indicazione per aumentare la spinta motivazionale di un’organizzazione.
Vengono distinte generalmente in teorie dei bisogni, che dunque considerano la motivazione come il frutto del soddisfacimento di alcuni bisogni umani, e teorie degli obiettivi, che si concentrano piuttosto sulla capacità di persone o comunità di definire obiettivi chiari e raggiungerli.
Una delle prima teorie sulla motivazione lavorativa è quella elaborata dall’imprenditore americano Frederic Taylor a inizio Novecento. Si basa sulla convinzione che per motivare persone e lavoratori bisogna adottare un’organizzazione che incentivi la produttività: sistemi come il lavoro a cottimo, la partecipazione ai profitti o la partecipazione al risparmio dovrebbero spingere le persone a impegnarsi al massimo per raggiungere gli obiettivi fissati.
Lo psicologo statunitense Abraham Maslow, uno dei più citati in questo ambito di studi, è invece noto soprattutto per la sua “piramide dei bisogni”, che divide le necessità umane in cinque categorie l’una alla base dell’altra:
Secondo questa teoria l’uomo punta al soddisfacimento dei bisogni alla base della piramide prima di aspirare a quelli successivi. Pur avendo alcuni limiti, come il non considerare la realtà esterna, da questa teoria emergono indicazioni interessanti che sono alla base di altre teorie:
Sempre dagli Stati Uniti arriva la teoria dei due fattori elaborata dallo psicologo Frederick Herzberg. Lo studioso distingue tra:
Si basa sul concetto di successo invece la teoria dello psicologo David McClelland, che distingue tre tipi di bisogni:
Ma come si possono tradurre in pratica tutte queste teorie? Qualche indicazione interessante arriva da una ricerca della start up Weekdone, citata e commentata anche dalla rivista economica Inc., che riporta le indicazioni “che ogni manager dovrebbe leggere”. Si tratta in sostanza di una lista di motivi per la mancata soddisfazione e motivazione dei lavoratori di un’azienda: